Rivista settimanale per Internet Indio Grigio
Nº 326 ANNO 2006 GIOVEDÌ 1
 FEBBRAIO

 

FUSIONA - DIRIGE - SCRIVE E CORRISPONDE: MENASSA 2007

NON SAPPIAMO PARLARE PERO LO  FACCIAMO IN VARIE LINGUE
SPAGNOLO, FRANCÉSE, INGLÉSE, PORTOGHÉSE, ITALIANO 

INDIO GRIGIO È  PRODOTTO
DI UNA FUSIÓNE
IL BRILLO DELLA COSA GRIGIA
E
L’INDIO DEL JARAMA
LA FUSIÓNE CON PIÙ FUTURO DEL SECOLO
XXI

Índio Gris


INDIO GRIGIO Nº 326

ANNO VII

EDITRICE


 

LA PATRIA DEL POETA

I

Voluttuosa semine, quí mi planto
e crescerò e, quí, cresceranno le mie radice
e fiorirò , e allo stesso tempo,
altri fioriranno da me.
Decreto a la  secca messeta castellana,
la patria del poeta.
Straperò profumi delle tue rocce,
come di fiori della stagione del sud,
e qualcuno dirá:
prima dei colori  del poeta,
                                           tu,
eri colore grigio.
Ed io ricorderò:
averti dipinto le labbra col mio nome.

Su il verde profumo del limone,
-cavallo degli astri-.
 Indio di luce,
 metallo rasgato per l’ossígeno vitale,
 mia poesía,
               polmone del universo.

Liquen di senaghe
e zaini rimpiete di mele, 
ditenute nel tempo dil frescore.

Immensità,
                verde infinito,
sesgo del sole,
tra i cigli dil profondo mare, 
atlántico silvestre.

Non vedete che sono  quello che vi saluta,
dil al di là delle più alte montagne, 
al di là degli oscuri cieli di Dio; 
dalla profonda galaxia dil  verde.

Meteórica espansione del arcobaleno,
sono un colore che gia non ha,
il bianco,
della piccola pureza inmacolata,
ne il manto nero della morte,
disolata,
ne gli occhi sanguinanti del  rubí.

Sono del celeste cosmo e dil sole,
la coniuzione marítima e alata.

Mia voce,
è il rasguido della chitarra astrale.
 Mio canto,
è il suono guturale del tempo.
Canto e scoppio ogni volta,
ed ogni volta,
                mi desintegro.

Perdo mio essere tra frammenti
e in quel vuoto di niente e di  colore,
perche già non sarò,
percorro gli spazi infiniti,
montato in verde luce,
                                prati dei cieli
Pampa,
           stenduta nelle altezze.

La patria del poeta I

 

POESÍA, LETTERE D’AMORE, PSICANÁLISI,
¿EROTISMO O PORNOGRAFÍA?
QUALCOSA DI POLÍTICA O RACCOLTA DI SPAZZATURA
E LETTERA DEL DIRETTORE

 

MORMURAZIONI DEL POETA

Non sólo si vive di scrivere poesía.
Uno che altro sguardo al destino sempre fa bene.                   

Rendersi conto che  la cultura ressuscita sui morti 
contro  quello che naque e, anche, per si accaso.
Naque primo di  iempo,
quello che desidero mi lo daranno tra  di qualche secolo. 
Sono  un poeta senza  padre e senza madre.
e non voglio ingressare in nessuna cultura,
perche fueri di  me, la cultura,
ripete vecchi vizzi, canzoni dimenticate, antiche.

Non sólo non li passó la  psicanalisi,
ne anche li pasó la bomba atómica:
Fungo mutilatore,
mi deformo al compasso delle tue radiazioni
e, in quella mutazione,
si trasforma con me la Poesía.

Diformità per Lei, anche, la sublime.

Apro suo petto e in mezzo di sua biancura stúpida,
faccio scoppiare una canzone di sangue
e di petróleo umidito per il pianto di mille generazioni
e non avrá forma che sopporti  tale grido.

¡Fate attenzine le Accademie!

¡E arrivato  il Poeta!

E questa volta, il poeta, non è un bimbo disolato
che, solitario e indifeso, cerca anime gemelle
e scrive poesíe perche se no...
Questa volta il poeta tiene, chiaramente, odio nel suo  sguardo, 
nel suo sguardo tiene esserciti, uomini, donne,
milioni di parole in qualsiese direzione,
fuori di tutta enciclopedia.

Di notte,
tumultuose stelle come idee si frammentano per essere, 
i sentimenti restano in angolo, feriti,
tutto è grandeza.

Puma, Poeta della Noche,
decifro mio proprio epitafio:

morì perche morì,
era una alondra,
vestigi di una raza,
fu la pietra e il vento.
Sonora voz,
arpegi dello umano tra i soli.

Sono non sono,
il triste fiore che si lancia di fronte al fuoco.
Fruto maduro, e pur troppo,
simente poderosa.
Muoio e mi riproduzco e allo stesso tempo
ballo compassi cósmici,
-rumori, come di bronzi facendosi a pezzi- 
profili dil tempo dove mio sapere,
ragiunge la dimenzione della carne:
ubre maligna, contagiata delle pegiore libertà
carne nella poesía
e in quella rafica senza dimenzioni,
-primo vagido del uomo
contro sua propria ragione di ammazzare,
contro sua propria ragione di vivere,
grido guturale e deforme,
contro la propria gola della morte-
l’uomo a suo aggio non si lascia misurare.

Senza Dio,
combinando tutte le parole,
senza  incontrarlo.
Liberato alla sua propria sorte,
a cavallo della poesía su i sensi,
cercando nuevi orizonti.

E nel incuentro con la cosa  nueva,
la plenitu è l’irdine di tutte le cose,
perche la cosa nuova, quando tiene la presenza di essere,
calma la sete
e la fame
e i desideri
e non si detiene
quando si inombra facce più belle,
perche la belleza è suo movimento
e in quel  devenire impazzito, prima di invecchiare,
lascia sua luce tra le ombre.

quei giorni si riposa, si mangia pane,
si bevono arange gelate e si sogna .

La Poesía in quei giorni lo può tutto.

Ubriachi di arange gelate
fino a che nostro corpo,
abbia il colore dei frutti maturi
e le pietre parlino
e i gabiani si affondino silenziosamente nel mare.

E quando la cosa nuova è inasible, Poesía,
per aver tessuto  suo essere tra tue maglie
e quando le ambizioni delle cose  nuove sono infinite 
per risorgere invisibile di tuo essere invisibile,
lascia, anche, quando sparisce,
-uomo e, alla volta, felino della notte-
su tue vaporose pelle
-di suo passo deforme per la vita-
tracce feroce,
indelebile desgarro multiforme nella tua belleza única, 
mostruosità,
cresciuta al’amparo di tuoi seni nevati,
fuori dei tuoi límiti,
silvestre e smesurato origene del mio canto:
tua pelle,
strappata del suo luogo e, ancora,
bella.

Mormorazioni del poeta

 

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