EDITRICE
LA PATRIA DEL POETA
I
Voluttuosa
semine, quí mi planto
e crescerò e, quí, cresceranno le mie radice
e fiorirò , e allo stesso tempo,
altri fioriranno da me.
Decreto a la secca messeta castellana,
la patria del poeta.
Straperò profumi delle tue rocce,
come di fiori della stagione del sud,
e qualcuno dirá:
prima dei colori del poeta,
tu,
eri colore grigio.
Ed io ricorderò:
averti dipinto le labbra col mio nome.
Su il verde
profumo del limone,
-cavallo degli astri-.
Indio di luce,
metallo rasgato per l’ossígeno vitale,
mia poesía,
polmone del universo.
Liquen di
senaghe
e zaini rimpiete di mele,
ditenute nel tempo dil frescore.
Immensità,
verde infinito,
sesgo del sole,
tra i cigli dil profondo mare,
atlántico silvestre.
Non vedete che
sono quello che vi saluta,
dil al di là delle più alte montagne,
al di là degli oscuri cieli di Dio;
dalla profonda galaxia dil verde.
Meteórica
espansione del arcobaleno,
sono un colore che gia non ha,
il bianco,
della piccola pureza inmacolata,
ne il manto nero della morte,
disolata,
ne gli occhi sanguinanti del rubí.
Sono del celeste
cosmo e dil sole,
la coniuzione marítima e alata.
Mia voce,
è il rasguido della chitarra astrale.
Mio canto,
è il suono guturale del tempo.
Canto e scoppio ogni volta,
ed ogni volta,
mi desintegro.
Perdo mio essere
tra frammenti
e in quel vuoto di niente e di colore,
perche già non sarò,
percorro gli spazi infiniti,
montato in verde luce,
prati dei cieli
Pampa,
stenduta nelle altezze.
La
patria del poeta I
POESÍA,
LETTERE D’AMORE, PSICANÁLISI,
¿EROTISMO O PORNOGRAFÍA?
QUALCOSA DI POLÍTICA O RACCOLTA DI SPAZZATURA
E LETTERA DEL DIRETTORE |
MORMURAZIONI DEL POETA
Non sólo si
vive di scrivere poesía.
Uno che altro sguardo al destino sempre fa bene.
Rendersi conto
che la cultura ressuscita sui morti
contro quello che naque e, anche, per si accaso.
Naque primo di iempo,
quello che desidero mi lo daranno tra di qualche secolo.
Sono un poeta senza padre e senza madre.
e non voglio ingressare in nessuna cultura,
perche fueri di me, la cultura,
ripete vecchi vizzi, canzoni dimenticate, antiche.
Non sólo non li
passó la psicanalisi,
ne anche li pasó la bomba atómica:
Fungo mutilatore,
mi deformo al compasso delle tue radiazioni
e, in quella mutazione,
si trasforma con me la Poesía.
Diformità per Lei,
anche, la sublime.
Apro suo petto e
in mezzo di sua biancura stúpida,
faccio scoppiare una canzone di sangue
e di petróleo umidito per il pianto di mille generazioni
e non avrá forma che sopporti tale grido.
¡Fate attenzine le
Accademie!
¡E arrivato il
Poeta!
E questa volta, il
poeta, non è un bimbo disolato
che, solitario e indifeso, cerca anime gemelle
e scrive poesíe perche se no...
Questa volta il poeta tiene, chiaramente, odio nel suo sguardo,
nel suo sguardo tiene esserciti, uomini, donne,
milioni di parole in qualsiese direzione,
fuori di tutta enciclopedia.
Di notte,
tumultuose stelle come idee si frammentano per essere,
i sentimenti restano in angolo, feriti,
tutto è grandeza.
Puma, Poeta della
Noche,
decifro mio proprio epitafio:
morì perche morì,
era una alondra,
vestigi di una raza,
fu la pietra e il vento.
Sonora voz,
arpegi dello umano tra i soli.
Sono non sono,
il triste fiore che si lancia di fronte al fuoco.
Fruto maduro, e pur troppo,
simente poderosa.
Muoio e mi riproduzco e allo stesso tempo
ballo compassi cósmici,
-rumori, come di bronzi facendosi a pezzi-
profili dil tempo dove mio sapere,
ragiunge la dimenzione della carne:
ubre maligna, contagiata delle pegiore libertà
carne nella poesía
e in quella rafica senza dimenzioni,
-primo vagido del uomo
contro sua propria ragione di ammazzare,
contro sua propria ragione di vivere,
grido guturale e deforme,
contro la propria gola della morte-
l’uomo a suo aggio non si lascia misurare.
Senza Dio,
combinando tutte le parole,
senza incontrarlo.
Liberato alla sua propria sorte,
a cavallo della poesía su i sensi,
cercando nuevi orizonti.
E nel incuentro
con la cosa nueva,
la plenitu è l’irdine di tutte le cose,
perche la cosa nuova, quando tiene la presenza di essere,
calma la sete
e la fame
e i desideri
e non si detiene
quando si inombra facce più belle,
perche la belleza è suo movimento
e in quel devenire impazzito, prima di invecchiare,
lascia sua luce tra le ombre.
quei giorni si
riposa, si mangia pane,
si bevono arange gelate e si sogna .
La Poesía in quei
giorni lo può tutto.
Ubriachi di arange
gelate
fino a che nostro corpo,
abbia il colore dei frutti maturi
e le pietre parlino
e i gabiani si affondino silenziosamente nel mare.
E quando la cosa
nuova è inasible, Poesía,
per aver tessuto suo essere tra tue maglie
e quando le ambizioni delle cose nuove sono infinite
per risorgere invisibile di tuo essere invisibile,
lascia, anche, quando sparisce,
-uomo e, alla volta, felino della notte-
su tue vaporose pelle
-di suo passo deforme per la vita-
tracce feroce,
indelebile desgarro multiforme nella tua belleza única,
mostruosità,
cresciuta al’amparo di tuoi seni nevati,
fuori dei tuoi límiti,
silvestre e smesurato origene del mio canto:
tua pelle,
strappata del suo luogo e, ancora,
bella.
Mormorazioni
del poeta