Rivista settimanale per Internet Indio Grigio
Nº 257. ANNO 2005 GIOVEDÌ 14
 LUGLIO

 

UNE - DIRIGE - ESCREVE E CORRESPONDE: MENASSA 2005

NÃO SABEMOS FALAR, MAS O FAZEMOS EM VÁRIOS IDIOMAS
CASTELHANO, FRANCÊS, INGLÊS, ALEMÃO
ÁRABE, PORTUGUÊS, ITALIANO E CATALÃO

INDIO GRIGIO È  PRODOTTO
DI UNA FUSIÓNE
IL BRILLO DELLA COSA GRIGIA
E
L’INDIO DEL JARAMA
LA FUSIÓNE CON PIÙ FUTURO DEL SECOLO
XXI

Índio Gris


INDIO GRIGIO Nº 257

ANO VI

EDITRICE

CANTO OTTAVO

Ridurre,
           tutto tempo
                           a un solo tempo.
Quello delle scopiature.
                           Il resto,
farsi lo  stupido,
                            il problematizato.
La nevrosi,
                stá ben vista.
Corpo e parola
                         flotando liberamente,
presto o tardi
                        ocorrerá,
                                    la fissione atómica.

Non cè umanità senza scopiature.
                                                 Aspettare,
il tempo,
              sempre  resta.

  "CANTO OTTAVO"

 

POESÍA, LETTERE D’AMORE, PSICANALISI,
¿EROTISMO O PORNOGRAFÍA?
QUALCOSA DI POLÍTICA O RACCOLTA DI SPAZZATURA
E LETTERA DEL DIRETTORE

 

ÚLTIMO SOLE SU LE COLLINE

Ti comparo con l’último sole su le colline.
Se  sparisci non sarebbe per me sufficiente
che in la tolleranza delle ombre
principiarano a manifestarsi  fiamme che sólo desiderare posso.

Tú esisti  vicino di questo confuso corpo mío,
sicuro gia di suo disperanza e di sua carne
per le stelle moltiplicate.
Essisti  vicino a mio  debole abbracio a te fulgente.
Circoli prossima a  i luoghi dove cieco ti ascolto
brillare, perche è tua luce di rumori allucinanti
quello  che  ascolto dalla mia mofuscazione interna
assomigliata a  gli cautiveri della notte.

Quando nella precipitata traiettoria di miei  trace
scopro complementi miei come tú, costituita
di cose vincolate tercamente allo spazio e la terra,
aíslo per ricordarlo
figure sostenitore di pesos e quantità;
parole conettate con il peso del mondo;
ire che lottino tra  di se come vertenti
generatori della più  legítima natura.
Per quello a te, incrostata  nelle scarpature di mio corpo solo,
donna  quasi luce sólida, ti identifico chiamandoti,
per la sensazione física di remota  fogata che mi causi
e per il deslumbramento in che mi circondi,
último sole sulle colline.

Io, americano, ho di interpretarti tumultuosamente.
Bianco sono pero mio spírito si tinge
di seppia silenzioso
e di trágiche dei stò pieno.
Nascè  come i fiumi  ,
senza  più nozione  che quella di sua forza amazónica.
Crescè con la libertà dei  cavalli nei suoi percorsi .
Imparai  a  guardare sempre alla distanza come i buitri.
La notte mi pressiona con sua scura lámina di cantiera
marcata per geroglífici enormi.
Ho patito  fino a dare sangue al sacrificio.
nella mia agitazione  cè ualcosa sopraumano
e  un po’ deforme in mio riposo.
Per quello a te cobriza come la  pelle dei vinti popoli,
con tua espressione di ídolo contemplandomi in sorda calma
e essalando di te lento rescoldo
acellerado per combustioni gialle,
ti chiamo come a uno dei  fenomeni della terra,
ultimo sole su le colline.

Al vederti per prima volta, nel anticolore di tuo viso
notai un dolore antico afianzándosi ai  pori,
come la ossidazione del sulfato
alle mollecole di cobre.
tuo  viso di lontano orizonte indígena
con due verdi ed elíptiche lagune.
Lo inessorabile dei  visi americani
latente nelle  cerámiche di dimenticanze;
la sagratísima unzione del mistero
che non se tocca  mai ne si dice;
la resistenza al pianto che non fluè mai e stá nei  blochi
convertiti in ierática scultura.
Di notte gli occhi estatuari
vertono irremisibilmente lácrime di sabbia.
E la lettura degli astri in pagine di  jade,
al piede degli  adoratori e le tombe;
e la quiete come un fiore ipnótica
che  ancora cresce nelle mani andanti
del uomo di América.

Tutto stava scritto eln tuo viso di sacramentali ángoli,
che un giorno io chiamai“valle della amareza”,
per suo dolore centrale appena manifestato
dietro di un tenero abrigo de salvie aborígine.
Lì anche la chiave  púrpura degli  inni di guerra;
li  nuziali pregones
e la aflizione delle  músiche monótone.
Il culto alla independenza delle  áquile,
al corpo del mare
e la gratitu alle gramíne.
La adorazione del tigre;
la invocazione al vento;
le danze alla pioggia;
i triuonfi alle state
alla idolatría al sole sessuale attuante
su il moro panteísmo della gente
costruttori di símboli del oro.
Quella  passione solare in te sveglia
i giorno in che guardando verso il tramonto mi hai detto:
¡Io sono come i fuochi trágici che ami!
¡Come l’último sole su le colline!

Se quello che mi appartiene con la posessione del istinto,
si disgrega e miei atti abbandona,
suolo orientarmi nella solitudine per l’olfato,
come  gli esseri primitivi
in ricerca di sua procreazione o di sue prese.
Nei selvatici almizcles presento
come l’antílope il pericolo.
Conozco la maturità del’erba alla distanza
e il balsamo carnale dei  dátili.
Aspiro nella notte il clima cosmico
e mi invade qualcosa della eternità.

Così arrivai al tuo essere quale un grande cervo solitario
ai dintorni di sua embra:
atratto per le emanazioni della specie
che fluiscono  senza sosta unite
al concentrato odore delle corteze e le pelle
protettore di frutte e di fauna.
Ho voluto evoluzionare per che mio spirito fosse
solamente atmósfera tua; disabitarmi
di altre figure aéree che ho amato: astri continui
o migratori, cuori commentari
che palpitanno con sístole e diástoles immense;
ripentini attachi della luce nelle siene del mondo;
aparizioni della neve rotatoria nello spazio
come il  cottone sulla terra.
Tutto quel mondo mío di strutture distante
dove mio spírito compi revoluzioni matemátiche
in torno del Sole.

Volè acrescentare la statura di mia carne
fino a lasciarla senza  aparenza di uomo, in attitu di roccia
erguita contro quello che minaci destruzione.
Una di  quelle montagne oscure
che únicamente  chiariscono al crepúscolo,
e ritenerte lí per un momento, ¡oh, sete delle mie tenebre!
consumando nostra unione nelle ltezze iù soli,
in quel istante de contrizione e  distruzioni dinastici
in cui spariva l’ultimo sole sulle colline.

Volè intregarte mie vuoti
per dove a volte incrociano isole come veloci barche
que a bordo llevan tripulación de nubes,
rossa schiuma di caldi mosti
ed equatoriale ripercutire di cantici.
io sono il capitano di  quelle navi corsari,
atormentatamente fugitive.
¡Cosa può mio entusiasmo e cosa mio spírito
contro questo mare di orrore in cui navigo!
Nelle rive crescono gruppi di cocoteri e di platani
che danno al’aria sua esplosione di vita.
Pero io sono il capitano sombrío
che estandarti di colera acaudilla.
perdè mio amore più alto al disterrarti
lontano di me a notturni arcipiélaghi,
e lá vado tra gridi di supervia,
come fango senza bussola a stamparmi
contro gli arresifi della morte.

Tú  potessi alzarmi a tuo spechismo
dove abundano  laghi e corone.
Ristituirmi al centro delle mie immaginazioni puri
e disminuire questo clamore che mi fa trepitare
come al zócalo di una metropoli martirizata
dove morirono vergines e atleti campioni.

Al di là di altro ermético mondo mi chiama.
A lui salgo a contemplare come un conquistatore dimenticato,
bandiere  vinte e pianure già senza esserciti,
da un monte quasi umano che riceve
e trasforma in  bandiera della sua angoscia,
la solitudine del’ultimo sole su le colline.

al di là di te altro hermético mondo mi nomina.
io lo ascolto  movilizarsi in torno
di mio silenzio andino,
con mia sagacità di bestia  abituata
al ascoltare la evoluzione di afondate forme 
e il rumore delle larve impadronite dei morti.
Quello è stato mio estratto: separarmi
dello più puro e splorare abisi,
per  tornare del fondo del mio inferno
con  aridi  corrosive marche.
Avicinati a mie liquidi  derrumbi
e proverai il sale delle  marisme.
Ascoltami parlare e sentiría la vertigine 
delle costelazioni che interrogo.
Guardami  al centro degli  occhi verdi 
e troverai l’odio dil pantano.
Non sono del orbe tuo in che sassonano
continenti di trigo e aranci.
Sono della oscurità,  del più profondo
del frenético piso americano,
e si chiarisce nel mio   spírito eè con tutti
i disordini e gli  squilibri
di un cielo uraganato quando  scende
l’ultimo sole su le colline.

Cè in mia anima trágico designio
che mi confronta  alle ombre e alle rovine.
Mia resistenza fúnebre  è più grande
se una notte di lacrime me  viene
e un suolo cataclísmico mi appogia.

Da alí  esco a proclamare mia credenza in un Dio
     gigante e bárbaro,
creatore della Forza e di uomini
che resistono  lo spostamento di una stella
e il volume della magior angoscia combattendoli.
Uomini che possano contemplarle  in piede  delle montagne
e tra lampi ascoltarli.
anime per la vita  delle altezze
e il  passagio pesante dl la  belleza.
Quello è mio Dio. e quando patisco e quando amo;
quando sento l’oscurit o la negacione della speranza,
vorrei  farli tremare con titánico grido;
di solitudine come la mía circndarli
e con nuvole enormi invadirle.
Che non mi  ascoltassi mai suplicatorio,
sino movile ed energico e fecondo.
Atormentato sí perche desidero
mia vittoria finalo contra lo spazio,
e sparire come una immagine sua e somiglianza;
solo può darsi, humanamente solo,
come l’ultimo sole su le colline.

Quí sto con mia sicureza di caverna
allogiando tua voce che ti avantagia 
come il rumore al salto delle onde  .

Se ne vanno giorni e giorni e altri giorni e giorni,
e niente si vede di te ne si ascolta ne si sente.
oservo da azzurri promontori
per se alcún segno amato ti scopre.
Ed è veritàs. Lì torni della assenza
acendendo gli archi ponentini.
Tuo ardore come la antorchia di lumiere
che vivono del hidrógeno e del calcio,
non impalidisce  mai ne si guasta.
Io mi incendio  anche per aspettarti
e di fulgore galáttico mi vesto.
L’istantáneo  incrocio di nostre órbite principia
e l’alterno dolore di nuestri diáloghi,
perche  tutte due non siamo sino il grido
delle separazioni infinite.

Ti  chiamai da un valle corporale e tranquillo, mi dici.
E rispondo: nella notte  attraversavano dinamismi eterni.
Era che io ti parlava di una estirpe di vita, rispondi.
altro mondo di  fiamme esisteva, ti dico di nuovo.
Potè   esssere el contatto più  vitale di tuo sangue, mi dici.
e ti dico un altra volta: mi agitavano dinamismi eterni.
Era io che ti parlava del calore della terra, rispondi.
E ti dico:  attraversavano satelite e splendori e sogni.
Era io che passava convocándoti al mondo, mi dici.
Altro mondo di fiamme essisteva, rispondo di nuovo.
Con radice di sangue io ti cerco nella terra, supliche.
Con la sete dello spírito io ti aspetto nel tempo.

GERMÁN PARDO GARCÍA
De “Lucero sin orillas”

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