EDITRICE
CANTO OTTAVO
Ridurre,
tutto tempo
a un solo tempo.
Quello delle scopiature.
Il resto,
farsi lo stupido,
il problematizato.
La nevrosi,
stá ben vista.
Corpo e parola
flotando liberamente,
presto o tardi
ocorrerá,
la fissione atómica.
Non cè umanità senza scopiature.
Aspettare,
il tempo,
sempre resta.
"CANTO
OTTAVO"
POESÍA, LETTERE D’AMORE, PSICANALISI,
¿EROTISMO O PORNOGRAFÍA?
QUALCOSA DI POLÍTICA O RACCOLTA DI SPAZZATURA
E LETTERA DEL DIRETTORE |
ÚLTIMO SOLE SU LE COLLINE
Ti comparo con
l’último sole su le colline.
Se sparisci non sarebbe per me sufficiente
che in la tolleranza delle ombre
principiarano a manifestarsi fiamme che sólo desiderare posso.
Tú esisti
vicino di questo confuso corpo mío,
sicuro gia di suo disperanza e di sua carne
per le stelle moltiplicate.
Essisti vicino a mio debole abbracio a te fulgente.
Circoli prossima a i luoghi dove cieco ti ascolto
brillare, perche è tua luce di rumori allucinanti
quello che ascolto dalla mia mofuscazione interna
assomigliata a gli cautiveri della notte.
Quando nella
precipitata traiettoria di miei trace
scopro complementi miei come tú, costituita
di cose vincolate tercamente allo spazio e la terra,
aíslo per ricordarlo
figure sostenitore di pesos e quantità;
parole conettate con il peso del mondo;
ire che lottino tra di se come vertenti
generatori della più legítima natura.
Per quello a te, incrostata nelle scarpature di mio corpo solo,
donna quasi luce sólida, ti identifico chiamandoti,
per la sensazione física di remota fogata che mi causi
e per il deslumbramento in che mi circondi,
último sole sulle colline.
Io, americano,
ho di interpretarti tumultuosamente.
Bianco sono pero mio spírito si tinge
di seppia silenzioso
e di trágiche dei stò pieno.
Nascè come i fiumi ,
senza più nozione che quella di sua forza amazónica.
Crescè con la libertà dei cavalli nei suoi percorsi .
Imparai a guardare sempre alla distanza come i buitri.
La notte mi pressiona con sua scura lámina di cantiera
marcata per geroglífici enormi.
Ho patito fino a dare sangue al sacrificio.
nella mia agitazione cè ualcosa sopraumano
e un po’ deforme in mio riposo.
Per quello a te cobriza come la pelle dei vinti popoli,
con tua espressione di ídolo contemplandomi in sorda calma
e essalando di te lento rescoldo
acellerado per combustioni gialle,
ti chiamo come a uno dei fenomeni della terra,
ultimo sole su le colline.
Al vederti per
prima volta, nel anticolore di tuo viso
notai un dolore antico afianzándosi ai pori,
come la ossidazione del sulfato
alle mollecole di cobre.
tuo viso di lontano orizonte indígena
con due verdi ed elíptiche lagune.
Lo inessorabile dei visi americani
latente nelle cerámiche di dimenticanze;
la sagratísima unzione del mistero
che non se tocca mai ne si dice;
la resistenza al pianto che non fluè mai e stá nei blochi
convertiti in ierática scultura.
Di notte gli occhi estatuari
vertono irremisibilmente lácrime di sabbia.
E la lettura degli astri in pagine di jade,
al piede degli adoratori e le tombe;
e la quiete come un fiore ipnótica
che ancora cresce nelle mani andanti
del uomo di América.
Tutto stava
scritto eln tuo viso di sacramentali ángoli,
che un giorno io chiamai“valle della amareza”,
per suo dolore centrale appena manifestato
dietro di un tenero abrigo de salvie aborígine.
Lì anche la chiave púrpura degli inni di guerra;
li nuziali pregones
e la aflizione delle músiche monótone.
Il culto alla independenza delle áquile,
al corpo del mare
e la gratitu alle gramíne.
La adorazione del tigre;
la invocazione al vento;
le danze alla pioggia;
i triuonfi alle state
alla idolatría al sole sessuale attuante
su il moro panteísmo della gente
costruttori di símboli del oro.
Quella passione solare in te sveglia
i giorno in che guardando verso il tramonto mi hai detto:
¡Io sono come i fuochi trágici che ami!
¡Come l’último sole su le colline!
Se quello che
mi appartiene con la posessione del istinto,
si disgrega e miei atti abbandona,
suolo orientarmi nella solitudine per l’olfato,
come gli esseri primitivi
in ricerca di sua procreazione o di sue prese.
Nei selvatici almizcles presento
come l’antílope il pericolo.
Conozco la maturità del’erba alla distanza
e il balsamo carnale dei dátili.
Aspiro nella notte il clima cosmico
e mi invade qualcosa della eternità.
Così arrivai
al tuo essere quale un grande cervo solitario
ai dintorni di sua embra:
atratto per le emanazioni della specie
che fluiscono senza sosta unite
al concentrato odore delle corteze e le pelle
protettore di frutte e di fauna.
Ho voluto evoluzionare per che mio spirito fosse
solamente atmósfera tua; disabitarmi
di altre figure aéree che ho amato: astri continui
o migratori, cuori commentari
che palpitanno con sístole e diástoles immense;
ripentini attachi della luce nelle siene del mondo;
aparizioni della neve rotatoria nello spazio
come il cottone sulla terra.
Tutto quel mondo mío di strutture distante
dove mio spírito compi revoluzioni matemátiche
in torno del Sole.
Volè
acrescentare la statura di mia carne
fino a lasciarla senza aparenza di uomo, in attitu di roccia
erguita contro quello che minaci destruzione.
Una di quelle montagne oscure
che únicamente chiariscono al crepúscolo,
e ritenerte lí per un momento, ¡oh, sete delle mie tenebre!
consumando nostra unione nelle ltezze iù soli,
in quel istante de contrizione e distruzioni dinastici
in cui spariva l’ultimo sole sulle colline.
Volè
intregarte mie vuoti
per dove a volte incrociano isole come veloci barche
que a bordo llevan tripulación de nubes,
rossa schiuma di caldi mosti
ed equatoriale ripercutire di cantici.
io sono il capitano di quelle navi corsari,
atormentatamente fugitive.
¡Cosa può mio entusiasmo e cosa mio spírito
contro questo mare di orrore in cui navigo!
Nelle rive crescono gruppi di cocoteri e di platani
che danno al’aria sua esplosione di vita.
Pero io sono il capitano sombrío
che estandarti di colera acaudilla.
perdè mio amore più alto al disterrarti
lontano di me a notturni arcipiélaghi,
e lá vado tra gridi di supervia,
come fango senza bussola a stamparmi
contro gli arresifi della morte.
Tú potessi
alzarmi a tuo spechismo
dove abundano laghi e corone.
Ristituirmi al centro delle mie immaginazioni puri
e disminuire questo clamore che mi fa trepitare
come al zócalo di una metropoli martirizata
dove morirono vergines e atleti campioni.
Al di là di
altro ermético mondo mi chiama.
A lui salgo a contemplare come un conquistatore dimenticato,
bandiere vinte e pianure già senza esserciti,
da un monte quasi umano che riceve
e trasforma in bandiera della sua angoscia,
la solitudine del’ultimo sole su le colline.
al di là di te
altro hermético mondo mi nomina.
io lo ascolto movilizarsi in torno
di mio silenzio andino,
con mia sagacità di bestia abituata
al ascoltare la evoluzione di afondate forme
e il rumore delle larve impadronite dei morti.
Quello è stato mio estratto: separarmi
dello più puro e splorare abisi,
per tornare del fondo del mio inferno
con aridi corrosive marche.
Avicinati a mie liquidi derrumbi
e proverai il sale delle marisme.
Ascoltami parlare e sentiría la vertigine
delle costelazioni che interrogo.
Guardami al centro degli occhi verdi
e troverai l’odio dil pantano.
Non sono del orbe tuo in che sassonano
continenti di trigo e aranci.
Sono della oscurità, del più profondo
del frenético piso americano,
e si chiarisce nel mio spírito eè con tutti
i disordini e gli squilibri
di un cielo uraganato quando scende
l’ultimo sole su le colline.
Cè in mia
anima trágico designio
che mi confronta alle ombre e alle rovine.
Mia resistenza fúnebre è più grande
se una notte di lacrime me viene
e un suolo cataclísmico mi appogia.
Da alí esco a
proclamare mia credenza in un Dio
gigante e bárbaro,
creatore della Forza e di uomini
che resistono lo spostamento di una stella
e il volume della magior angoscia combattendoli.
Uomini che possano contemplarle in piede delle montagne
e tra lampi ascoltarli.
anime per la vita delle altezze
e il passagio pesante dl la belleza.
Quello è mio Dio. e quando patisco e quando amo;
quando sento l’oscurit o la negacione della speranza,
vorrei farli tremare con titánico grido;
di solitudine come la mía circndarli
e con nuvole enormi invadirle.
Che non mi ascoltassi mai suplicatorio,
sino movile ed energico e fecondo.
Atormentato sí perche desidero
mia vittoria finalo contra lo spazio,
e sparire come una immagine sua e somiglianza;
solo può darsi, humanamente solo,
come l’ultimo sole su le colline.
Quí sto con
mia sicureza di caverna
allogiando tua voce che ti avantagia
come il rumore al salto delle onde .
Se ne vanno
giorni e giorni e altri giorni e giorni,
e niente si vede di te ne si ascolta ne si sente.
oservo da azzurri promontori
per se alcún segno amato ti scopre.
Ed è veritàs. Lì torni della assenza
acendendo gli archi ponentini.
Tuo ardore come la antorchia di lumiere
che vivono del hidrógeno e del calcio,
non impalidisce mai ne si guasta.
Io mi incendio anche per aspettarti
e di fulgore galáttico mi vesto.
L’istantáneo incrocio di nostre órbite principia
e l’alterno dolore di nuestri diáloghi,
perche tutte due non siamo sino il grido
delle separazioni infinite.
Ti chiamai da
un valle corporale e tranquillo, mi dici.
E rispondo: nella notte attraversavano dinamismi eterni.
Era che io ti parlava di una estirpe di vita, rispondi.
altro mondo di fiamme esisteva, ti dico di nuovo.
Potè esssere el contatto più vitale di tuo sangue, mi dici.
e ti dico un altra volta: mi agitavano dinamismi eterni.
Era io che ti parlava del calore della terra, rispondi.
E ti dico: attraversavano satelite e splendori e sogni.
Era io che passava convocándoti al mondo, mi dici.
Altro mondo di fiamme essisteva, rispondo di nuovo.
Con radice di sangue io ti cerco nella terra, supliche.
Con la sete dello spírito io ti aspetto nel tempo.
GERMÁN PARDO GARCÍA
De “Lucero sin orillas”
Miguel
Menassa recita a Germán Pardo García
Indio Grigio
XV
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Psicanalisi delle relazioni di coppia
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