Rivista
settimanale per Internet Indio Grigio
Nº 221. ANNO 2004 GIOVEDÌ
21
DI
OTTOBRE
FONDE
- DIRIGE - SCRIVE E CORRISPONDE: MENASSA 2004
NON
SAPPIAMO PARLARE MA LO FACCIAMO IN VARIE LINGUE
SPAGNOLO, FRANCESE, INGLESE, TEDESCO
ARABO, PORTOGHESE, ITALIANO E CATALANO

INDIO GRIGIO
È PRODOTTO
DI UNA FUSIONE
LA
LUCENTEZZA DELLA COSA GRIGIA
E
L'INDIO DEL JARAMA
LA FUSIONE CON PIÙ FUTURO DEL SECOLO
XXI
indio
grigio
INDIO GRIGIO
Nº 221
AÑO V
25 Agosto
RECITALE DI POESÍA
"Club di amici della Vacca Profana."
MIGUEL OSCAR MENASSA
RECITA A: GERMÁN PARDO GARCÍA
• GERMÁN PARDO GARCÍA
TEORÍA DELLA NOTTE AMERICANA
Prima che il
grande tramonto continentale si rimpiene di ombre,
qual una patria aérea invadita per oscure aquile,
concentrerò mio corpo vicino di questi valli
che disegnano su i meridiani della terra
la storia remotísima dil sangue aborigene
e i racconti del uomo abbitante di hidrópici mondi.
Farò che le
profonde selve prossime ad ascoltare bandi lontani
di lamenti, cornamusas e grossi teponaztlis,
mi intregano sua commozione d’avanti al silenzio
che scende degli Andes come jaguar alle caverne
dove aragne deforme lavorano per la morte,
come lavorano anche formiche e chucua per la morte,
mentre la costruttora meccanica della terra
fermenta l’ervor ecaótica di gérmene che vivono
mischiandosi con la putrizione sotto delle pantani.
Come un imperatore
indio
coinvolto nella sua superva casta legítima;
di piede su le roce sagrate e gli occhi
fissi negli holocausti del sole nel suo ponente,
cosí in rosso tezontle cimentarò mio sogno;
nello più messicano di una rocia borrascosa,
dove mio fronte possa sentire i transiti dell’aria
e comprendere mio spírito la forza di alcuni popoli
che amarono come io queste stesse montagne di América;
quí si
indinochiarono,
quí si ingradirono
e quí come profeti agrícoli parlarono
delle cose nutrizie; dei boschi sedenti;
dell arrivo orizontale delle radici
e la fedeltà dell’uomo alle montagne.
Mi stenderò alla riva di un lago migratorio
per che così, molto insieme di suo fluvial deslave,
possa toccare con più giustizia la polvere delle vertebre;
la virtù labrantía dei dita
e la strage gia dispersa delle rótule,
cadute nella sabbia e calcinate
per furiaeche investirono contro il moreno Continente,
fino ad impazire colonne monolítiche
e fondere quelle lámine d’oro
che brillarono nelle case;
rimpiendoli delle più umile musiche
quando il vento li feriva suoi biseles,
come se fosseno di carrizo fischiatore
o di atributi del maíz.
Ho saputo alla
riva di un lago perche América,
dal Yukón alla Patagonia,
sali del acqua nel principio dei tempi
come una barca piena
di plátanos e piñas;
balsámiche legni;
azzurri farfalle;
veleni e vulcani;
difesa pettorale fatta di pelli
di caimán aletargato nella manigua,
e piume di quetzal
nascosto qual una móvile esmeralda
sotto le selve dil Petén.
Cosí América
lacustre, bestiale e cataclísmica;
ricordanlo figurae di batraci che gli indiani
scolpirono suplicante nelle roccie,
per chiedere che si allontanassino
i liquidi poteri invasori.
È l’acqua ritirándosi lasció sue vene ripartite
nelle vertenti amazóniche;
suoi occhi nei fiumi della dolce Guatemala
e suoi capelli al piede del Iguarú.
L’acqua fu per
América origine tempestuoso della sua vita.
per quello quando pronuncio queste parole
qcon qualcosa dello suo spírito e suo sangue,
idólatra e pagano confesso
la primitiva passione che mi subyuga,
e dico una preghieta che incomincia
segnadomi la carne con luciarborescenti,
nel nome della Terra e dello Spazio;
della caoba che contiene vighe yesepolcri;
dei vestigiocamminanti della raza
e del sole che ancora ci governa nella altura.
Una preghiera che principia proclamando
mio culto alle tenebre della notte,
e conclude con atti di fede senza speranza
nella amareza originale di América.
e d’avanti alle sorde cime del Chimborazo clama.
Cosí credo in mio paese dondolandosi con rumori della selva
irremediabile
da il Darién al Putumayo.
Cosí mia nazione di fiumi che nessun mare risume.
Cosí Colombia acquatica e pesantemente vegetale.
Mi tendero vicino
del silencioso fiume ad espettare la notte
che invade con sua schiuma di inorgánici ébani,
las subterráneas formaciones de carbón.
Mi tendero ad espettare la notte
Come prima al ritornare di suoi salti
a gli cobrizi pesci e le leonate fiere,
i veloci portieri cacciatori.
Mi tendero ad aspettare l’ombra vicina di silenzioso fiume,
perche acqua, oscurità ed ermetismo selvático
sono la terribile chiave ereditaria
del uomo di América.
Tre buitri anclati in escueti muraglioni.
Tre Orinocos disaguando sempre in nostro sangue.
Tree muraglie mortuorie oprimendo
i pantani dove suplica il «diotidia».
Únicamente quelli
che siamo nati in América
comprendiamo la enormità dil telúrico lutto.
Dite ad un americano auténtico la parola «penombra»,
e agitará i braccia
come un ofidio constrittore.
È suo notturno instinto, sua inclinazione di selva
cercando suoi orígini.
Diteli "acqua" e
allora scoprirete laghi
nei suoi occhi macchiati di crepuscoli.
Pur troppo diteli
"silenzio" e nelle sue mani
fioriranno mucchi di catleyas.
Il fiore americano del silenzio che mai
si interrompe.Il fiore più desértico e libero.
Si alimenta di brise e silenzi e música
inaudibili. A volte impalidisce e sospira.
Si sostiene nella danza. Si illumina con gli estasi.
Nacue su una vara di silenzio e dimenticanza
e in dimenticanza e silenzio moltiplícasni e muore.
Altri giorni vorrebbe volare come uno spírito
e allontanarsi tra luci gialli e lacrime .
Abbandonerò città
dove si compi mio disterro
di tutto quanto è organica energía.
Lì ho lasciato radici come braccia che aprino tunnli
per dove passano scontrandosi in sua arteriale carriera,
los verdes glóbulos del fondo.
Lasciai calore saccando ad ogni istante vite tragiche
del territorio fétido che putre.
Lasciai vigore, crudeltà nelle battaglie animali
e un odio di tenebre contro uomini e criature.
Io chiamo alla
notte americana: ¡Madre!
e lei mi grida dalle sue cóncave regioni: ¡figlio!
Non conobe a mia madre. Morè quando miei occhi
ignoravano le trasformazioni della luce.
Non conservo sua memoria o se la guardo
è come fiume doloroso andando tra l’oscuro.
La notte protegè mio formidabile disamparo.
Crescè come qualcosa sua; come si svolge il tuono
e nelle sue velocità nemiche .
Cè un rancore nei miei confronti la chiareza e la speranza
e una insubordinazione irredimibile.
Chiamatemi per il nome di una bestia notturna
e andrò,
perche mia confusione è parte della notte
e mi angoscia un rampico di su abiso.
Abandonerò
metropolis di cal dove si compe mio desterro.
Lì mi aspettano vegetazioni oscurísimi
e tori con tormente nei corna;
obsidiana nei occhi e nei unghie,
e corpo di cannela che si torna
misterioso nelle cúspide senza astri .
Cosí América implacabile in sua belleza;
vitale sotto suo caribe
e povero tra suoi ídoli d’oro.
Tornerò a suoi
deserti a ingrandire mio spírito.
Sua ombra è luce di miei poderosi veterani.
Suo pane la fame
di mia bocca.
Sua tempesta mio sosiego.
Sua putrefazione il più selvagio dei miei goderi
Io sono il compagno di sue tribus che camminano
su sabbie vigorose domandando
per l’istante stesso della morte.
Abbandonerò città, scorderò metrópolis
e tornerò a tendermi alla riva di un fiume silenzioso;
uno di quelli turbi fiumi di nomi musicali: Inírida, Vaupés,
ad aspettare come le serpentei l’amparo della notte di América.
Miguel Oscar Menassa recitando a Germán Pardo
García
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